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L’educazione scolastica

David Foster Wallace, da molti definito un genio sconfinato, nacque a Ithaca, vicino a New York, nel 1962. Il padre Jim insegnava filosofia, mentre la madre Sally era docente di inglese al college. Wallace crebbe con i racconti di Ulisse mentre la mamma e il papà si tenevano per mano. In quinta elementare si trasferì a Urbana, dove frequentò la Yankee Ridge School. Durante le superiori coltivò la passione per il football e il tennis; prima di laurearsi nello stesso college del padre, scrisse una tesi di filosofia e un romanzo.. Wallace si laureò in letteratura inglese e filosofia. L’ultimo passo della sua brillante educazione lo ottenne con un Master of Fine Arts in scrittura creativa.

Opere e stile

David Foster Wallace esordì nella letteratura nel 1987 con il romanzo La scopa del sistema, ispirato alla sua seconda tesi universitaria. La ragazza con i capelli strani, il suo secondo libro, uscì solo 2 anni dopo. Nel corso della sua vita, David Foster Wallace scrisse circa 20 opere; le più importanti sono: le due menzionate precedentemente, Infinite Jest, Considera l’aragosta e Una cosa divertente che non farò mai più.

Lo stile di Wallace si distingue per l’ironia tagliente, la complessità narrativa e la capacità di osservare con acume i dettagli più insignificanti della quotidianità. Le sue opere mescolano riflessioni filosofiche, descrizioni minuziose e un linguaggio denso, che sfida il lettore a interrogarsi sulla condizione umana.

Ecco l’incipit Una cosa divertente che non farò mai più.

E allora oggi è sabato 18 marzo e sono seduto nel bar strapieno di gente dell’aeroporto di Fort Lauderdale, e dal momento in cui sono sceso dalla nave da crociera al momento in cui salirò sull’aereo per Chicago devono passare quattro ore che sto cercando di ammazzare facendo il punto su quella specie di puzzle ipnotico-sensoriale di tutte le cose che ho visto, sentito e fatto per il reportage che mi hanno commissionato.
Ho visto spiagge di zucchero e un’acqua di un blu limpidissimo. Ho visto in completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l’olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente. Sono stato chiamato «Mister» in tre diverse nazioni. Ho guardato cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l’Electric Slide. Ho visto tramonti che sembravano disegnati al computer e una luna tropicale che assomigliava più a una specie di limone dalle dimensioni gigantesche sospeso in aria che alla cara vecchia luna di pietra degli Stati Uniti d’America che ero abituato a vedere.
Ho partecipato (molto brevemente) a un trenino a ritmo di conga.

Una cosa divertente che non farò mai più

Un libro che rispecchia perfettamente queste caratteristiche è Una cosa divertente che non farò mai più, scritto nel 1997, un reportage di una crociera ai Caraibi della compagnia 7 notti ai Caraibi, o come la chiama Wallace 7NC.

A prima vista, il libro sembra un semplice resoconto di viaggio, ma un’analisi più attenta rivela la profonda riflessione di Wallace sulla società moderna. Attraverso descrizioni ironiche e dettagliate, l’autore svela le contraddizioni del turismo di lusso e ci invita a riflettere sul bisogno umano di evadere dalla monotonia quotidiana.

Oggi, comunque, è il giorno in cui ho subito uno scacco matto in ventitré mosse da una bambina di nove anni. Ma su questo non vorrei dilungarmi. […] Per ricaricarmi psicologicamente ritorno nella mia cara 1009 [La sua cabina]. Mangio quattro frutti che assomigliano a minuscoli mandarini, ma sono più dolci, e guardo per la quinta volta questa settimana la parte di J.P. [Jurassic Park] quando i Velociraptor tendono un agguato ai bambini superdotati nella cucina specchiata e istituzionale, e mi accorgo di nutrire per i Velociraptor una simpatia prima insospettabile. (pp. 113-115)

Le spiegazioni approfondite sul deterioramento delle navi, sul vestiario dell’equipaggio, sulla puntualità nel pulire e riparare la nave, le partite a scacchi, le gite fuori dalla crociera, i discorsi affrontati nel tavolo 64: tutto serve a farci capire che, in realtà, la vita è monotona, quasi noiosa, e che solo una crociera come quella ai Caraibi potrebbe distoglierci da questa noia e darci un senso di tranquillità e libertà.

Wallace ha occhi attenti, perfetti per notare le contraddizioni più paradossali:

Ho sentito cittadini americani maggiorenni e benestanti che chiedevano all’Ufficio Relazioni con gli Ospiti se per fare snorkeling c’è bisogno di bagnarsi, se il tiro al piattello si fa all’aperto, se l’equipaggio dorme a bordo e a che ora è previsto il Buffet di Mezzanotte. (p. 7)

La coppia di pensionati di Chicago, ormai astuti veterani delle code, visto che è la loro quarta crociera extralusso, spintonando a destra e a manca sono molto più avanti di me. Una seconda signora addetta al Controllo Folle della Celebrity ha un megafono e continua a ripetere instancabilmente di non preoccuparci delle valigie, che ci raggiungeranno più tardi, e sono il solo, a quanto pare, a trovare la cosa agghiacciante nel suo involontario richiamo alla scena della partenza per Auschwitz di Schindler’s List. (p. 28)

Infatti, Wallace ci spiega come le multinazionali nel settore delle crociere sfruttino questa monotonia della vita e, attraverso slogan come “Vi sentirete liberi” o “Non dovrete fare niente”, cercano di attirare più clientela possibile. In effetti, le persone, pur di scappare dalla loro vita ed essere trattate come principi, spenderebbero migliaia di euro, e questo Wallace lo aveva già capito, ma gli altri non avevano capito Wallace.

Qui viene alla luce un tratto essenziale delle crociere extralusso: si viene intrattenuti da qualcuno a cui state chiaramente antipatici e si ha la sensazione di meritare l’antipatia nel momento stesso in cui ci si sente offesi. (p. 149)

Il grande nemico di Wallace
Nel reportage Una cosa divertente che non farò mai più, Wallace accosta il concetto di monotonia a quello di disperazione. Per Wallace, la disperazione non è come la intendiamo noi oggi, ma è qualcosa di più profondo e complesso; dopotutto, un genio sconfinato non poteva pensarla come noi.

“La disperazione è più come avere il desiderio di morire per sfuggire alla sensazione insopportabile di prendere coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed egoisti e destinati senza alcuno dubbio alla morte.”

Sarà proprio la disperazione derivata dalla depressione cronica  a troncarne la vita. Infatti, fin da piccolo, David Foster Wallace soffrì di attacchi d’ansia e di depressione. E nel 2008 decise di suicidarsi, impiccandosi. Una scelta che probabilmente lo tormentava da anni; infatti, dopo aver definito la disperazione, scrisse: ‘E viene da buttarsi giù dalla nave.

Nonostante la sua breve vita, David Foster Wallace ha lasciato un’impronta indelebile nella letteratura contemporanea. Le sue opere continuano a ispirare generazioni di lettori, offrendo uno sguardo acuto e profondamente umano sulle complessità dell’esistenza. Wallace non era solo un genio letterario, ma un pensatore capace di illuminare le contraddizioni del nostro tempo.

Simone Manzi, III LES