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Nel 1895 l’imprenditore e chimico svedese Alfred Nobel stabilì del suo testamento la creazione di una serie di premi annuali in diversi ambiti, tra cui la letteratura, che sarebbero diventati i celebri premi Nobel. Egli sostenne infatti di voler premiare coloro i quali avessero fatto il “maggior bene all’umanità”; probabilmente nel tentativo di passare alla storia non solo grazie all’invenzione di una potenziale arma come la dinamite, ma anche come ideatore di un premio per l’elogio della bellezza.

Per quanto riguarda questo premio in particolare, Nobel fece l’errore di dare al comitato di premiazione una certa libertà di interpretazione: i criteri di selezione in uso ancora oggi presso l’Accademia Svedese sono complessi. Il principale è quello della “letteratura di valore eccezionale” (per l’appunto secondo la volontà di Nobel) secondo cui l’opera merita di essere premiata non solo per la sua qualità stilistica, ma piuttosto alla sua unicità e originalità, nonché alla capacità di essa di rimanere rilevante nel tempo, riuscendo a proporre una nuova visione che trascende i limiti culturali. Alcuni scrittori addirittura usarono la letteratura come mezzo per lottare contro le ingiustizie sociali e affrontare questioni sociali, politiche, economiche e storiche. Per citarne alcuni: Albert Camus e Jean-Paul Sartre per la critica nei confronti della società: infatti attraverso la rappresentazione dell’assurdità della condizione umana e l’alienazione dell’individuo, questi filosofi riescono a mettere in luce l’ipocrisia e la limitazione imposte dalle convenzioni sociali..

Tuttavia, l’esclusione di grandi autori (Tolstoj, Joyce, Woolf) ha portato molte persone a domandarsi sull’effettiva efficacia di questi criteri, ritenuti fallaci o troppo soggettivi. Specie negli ultimi anni poi è stata sollevata la questione inerente all’etnocentrismo, secondo cui l’Accademia ignori o sottovaluti la letteratura non-occidentale. Quest’anno, forse anche in risposta alle accuse, a vincere il premio è stata la scrittrice sudcoreana Han Kang, nota nel mondo per il suo libro “La Vegetariana” pubblicato in Italia per la prima volta nel 2007 da Adelphi. . 

“Nella sua opera – si legge nella motivazione dell’Accademia svedese – Han Kang affronta traumi storici e insiemi invisibili di regole e, in ciascuna delle sue opere, espone la fragilità della vita umana. Ha una consapevolezza unica delle connessioni tra corpo e anima, i vivi e i morti, e nel suo stile poetico e sperimentale è diventata un’innovatrice nella prosa contemporanea”.

Si può forse iniziare a pensare ad una maggiore apertura da parte del comitato accademico? Diciamo che sarebbe ora.

Le polemiche però non terminano qui: alcuni vincitori sono stati molto discussi poiché non considerati scrittori tradizionali. L’esempio più clamoroso fu quello dell’assegnazione del premio a Bob Dylan, nel non troppo lontano 2016, quando tutto il mondo si domandò se anche i cantautori possano essere definiti autori, o se si trattasse di un gesto troppo avanguardistico. Ma il bravo scrittore non è forse colui il quale riesce a trasmettere qualcosa tramite l’uso delle parole? E questa definizione non è forse applicabile ai cantautori e più in generale a tutti gli artisti? Come scritto qualche riga sopra, uno dei criteri più importanti per l’assegnazione del premio è l’originalità, cosa che di certo non manca alle opere di Dylan. 

Rileggendo la volontà di Nobel non dovrebbero sorgere dubbi, eppure…

Un esempio simile riguarda Kendrick Lamar, il quale nel 2018 divenne il primo rapper a vincere il Premio Pulitzer grazie al suo straordinario album “DAMN.”, in cui tratta temi complessi come l’identità, la moralità, la lotta personale e la realtà dell’esperienza afroamericana negli Stati Uniti, tra violenza e discriminazione.

È quindi necessario ridefinire l’idea di “autore”, riconoscendo che la letteratura oggi non è più confinata nei romanzi, ma si espande a nuove forme di espressione, specie in un periodo in cui la letteratura “tradizionale” è in calo, in tutto il mondo e fra tutte le fasce d’età.

Ciò è imputabile a diversi fattori: in primis la concezione della lettura come attività passiva e meno immediata rispetto al mondo digitale e la mancanza da parte del mercato editoriale, il quale ricerca quasi esclusivamente titoli che promettono un ritorno economico immediato, come nel caso dei bestseller e della narrativa commerciale.

Pertanto, anche le grandi istituzioni come l’Accademia Svedese dovrebbero aprire i loro orizzonti, e iniziare premiare chi scrive realmente bene e si fa portatore di messaggi universali, proprio come avrebbe voluto Alfred Nobel.

Elisa Ottogalli, IV LES