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Da ormai diversi anni il fenomeno migratorio viene descritto come una vera e propria invasione, alimentando un sentimento di assedio e soffocamento. Questa narrazione, strategicamente costruita, serve a farci percepire l’immigrazione come un’emergenza straordinaria, che richiede misure eccezionali anziché strumenti di gestione ordinari.

Una narrazione furba per poter “giustificare” le recenti modifiche normative volute dall’attuale governo e “comprendere” i decreti legge che negli ultimi anni si sono susseguiti e che portano la firma di diversi governi, con diversi colori politici, ma con soluzioni non cosí diverse. 

La nascita dei CPR 

I  Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) sono strutture di detenzione amministrativa, nelle quali vengono reclusi i cittadini non comunitari sprovvisti di un regolare documento di soggiorno oppure già destinatari di un provvedimento di espulsione. 

Nei CPR vengono sottoposti ad un regime di privazione della libertà personale individui che hanno violato una disposizione amministrativa, come quella del necessario possesso del permesso di soggiorno.

Queste strutture furono istituite nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano con il nome di C.P.T. (Centri di Permanenza Temporanea), poi denominati C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione) dalla Legge Bossi-Fini del 2002, ed infine rinominati C.P.R. (Centri di Permanenza per i Rimpatri) dalla Legge Minniti-Orlando del 2017. 

La durata della detenzione è stata man mano aumentata: con la legge Turco-Napolitano la durata massima della detenzione amministrativa era fissata in 30 giorni; successivamente la Legge Bossi-Fini aveva stabilito che, qualora si fossero riscontrate serie difficoltà nelle procedure di accertamento dell’identità di uno straniero, il periodo di detenzione potesse essere prorogato dal giudice per ulteriori 30 giorni. Nel 2013 il periodo di detenzione è stato ulteriormente esteso fino ad un massimo di 90 giorni ed infine con il recente “Decreto Sicurezza”, il periodo massimo di trattenimento all’interno dei C.P.R è arrivato fino a 180 giorni.

In Italia, attualmente, risultano operativi nove Centri di Permanenza per il Rimpatrio. 

 

Caratteristiche comuni delle modifiche normative degli ultimi anni

Sebbene in questi anni si siano alternati governi con colori politici diversi, possiamo sostenere che per quel che riguarda le politiche migratorie non ci siano stati grandi differenze. 

Da un punto di vista tecnico, si è trattato sempre di interventi frammentati che hanno apportato modifiche normative disomogenee, ma dirette ad incidere su singoli aspetti della legislazione. Tutto il sistema per “gestire” l’immigrazione poggia da anni su due pilastri fondamentali che non sono mai stati messi in discussione: 

  • la “detenzione amministrativa” dei migranti irregolari 
  • l’esistenza dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio

Sono questi infatti i principali strumenti volti a perseguire l’obiettivo di aumentare i rimpatri dei migranti che giungono irregolarmente nel nostro Paese. 

Anche negli ultimi due interventi voluti dall’attuale governo (D.L. il 10 marzo 2023 n. 20 e il pacchetto di misure adottato nel Consiglio dei Ministri del 27 settembre 2023) largo spazio è dato proprio al sistema dei CPR inteso come strumento principale per arginare “l’invasione”.

Il Decreto Legge 10 marzo 2023 n. 20

Il primissimo intervento normativo in materia di immigrazione varato dal Governo Meloni è stato il Decreto Legge 10 marzo 2023 n. 20 (c.d. Decreto Cutro), un decreto legge fortemente politicizzato e pensato all’indomani della tragedia consumatasi a Steccato di Cutro, in cui sono morti annegati almeno 180 migranti. 

Con questo intervento legislativo si è cercato di spostare tutta l’attenzione sul fenomeno del traffico di esseri umani e sull’ esistenza di organizzazioni criminali che speculano sui fenomeni migratori gestendo l’immigrazione irregolare verso il nostro Paese: infatti, un grande peso è stato dato alle nuove norme che introducono pene più severe per gli scafisti.

La riapertura del cpr in corso Brunelleschi 

A marzo del 2023 la struttura di Corso Brunelleschi era stata chiusa dopo le proteste del febbraio durante le quali i migranti avevano danneggiato i locali in cui erano reclusi. 

Le proteste erano nate per le pessime condizioni di vita: sovraffollamento, condizioni igienico sanitarie al limite, assistenza sanitaria inadeguata, e condizioni di vita disumane. 

Nel 2025 l’azienda Sanitalia ha vinto l’appalto da 8,4 milioni di euro per la gestione del cpr di Torino e la struttura verrà ufficialmente riaperta;

tuttavia come scriveva Davide Cadeddu, in Cie e complicità delle associazioni umanitarie 

«Ciò che rende il Cie tale è la sua natura biopolitica. In questo dispositivo il potere si esercita sulla persona trattenuta non in quanto autore di un reato, ma in quanto essere vivente, vita biologica, nuda vita. Per cui, anche se in questi campi di internamento fossero garantiti standard decenti rispetto alla tutela dell’incolumità personale, all’igiene del luogo, alla qualità del cibo, all’assistenza sociale (attraverso la presenza di interpreti, psicologi, avvocati, mediatori linguistici) o alla realizzazione di attività di socializzazione, la natura di questi luoghi comunque non cambierebbe, rimarrebbero quello che sono e continuerebbero ad assolvere sempre alla stessa identica funzione all’interno della società.»

Centri in Albania e  mobilitazione del Network Against Migrant Detention 

L’anno scorso è stato siglato il Protocollo tra il primo ministro albanese Rama e la nostra presidente del consiglio Meloni per l’istituzione di nuovi hotspot e CPR gestiti dall’Italia in Albania.  L’1 e 2 dicembre 2024 gli attivisti del Network Against Migrant Detention (NAMD) hanno attraversato i luoghi simbolo del Protocollo Rama-Meloni per manifestare il proprio dissenso.

Il Movimento NAMD unisce attivisti e attiviste Italiani e Albanesi con uno stesso ideale: una “nuova Unione Europea” contro la criminalizzazione dei migranti e che non voglia prendere esempio dal modello italiano-albanese dei CPR. Questa mobilitazione aveva infatti l’obiettivo di opporsi a tutti i CPR, in qualsiasi parte dell’Europa e del mondo.

L’idea di questa iniziativa è rappresentata proprio da chi la migrazione l’ha vissuta sulla propria pelle o su quella dei propri genitori: 

«Come si può pensare di aprire dei CPR qui in Albania, quando negli stessi CPR in Italia sono morti cittadini albanesi? Non accetteremo la costruzione di centri tortura in casa nostra, dopo che per 30 anni eravamo noi gli immigrati, gli stupratori, le prostitute» ha detto di fronte all’ambasciata italiana Clara Osma, attivista italiana nata da genitori albanesi. 

In uno stato civile e che si reputa avanzato è inaccettabile il concetto che è alla base dei centri di permanenza e rimpatrio: la marginalizzazione di uno gruppo di persone che non ha commesso alcun crimine se non esistere. Per questo motivo anche se i diritti umani venissero rispettati, il sistema dei cpr non dovrebbe né esistere né tantomeno venir appoggiato dalle istituzioni.

Non possiamo permetterci che il rispetto della dignità umana sia legata alla nazionalità, ma deve essere garantito a tutti; soprattutto dal momento che il governo ha giurato su una Costituzione che proprio nell’articolo 2 afferma che la “Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità». 

È importante non dimenticarsi di chi ha perso la vita all’interno dei CPR come ad esempio Ousmane Sylla morto un anno fa nel cpr di Ponte Galeria vicino Roma e Moussa Balde, morto suicida nel CPR di Torino nel 2021.

Le loro morti sono il risultato di politiche migratorie che non vogliamo più: nè in Italia, nè in Albania ne da nessun’altra parte. 

Letizia Radicioni, V Scientifico

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