L’evoluzione del pensiero umano
Nella piantina della vita, il fenomeno più incredibile in continua espansione e sviluppo, alcuni esseri come la specie sapiens si ritrovarono per certe condizioni a non sviluppare come gli altri animali una superiorità del corpo o degli arti, ma bensì una della mente, che comportarono un’evoluzione dei vari tipi di pensiero da quello riflessivo a quello logico.
Tale miglioramento, se però si va ad osservare certe realtà e lavori letterari, non raramente ha portato l’uomo a chiedersi di fronte ad uno specchio se davvero il suo conoscere gli avesse portato benefici o se fosse stato meglio rimanere ignoranti o addirittura non nascere mai per non dover conoscere la matrigna malvagia di nome vita.
Il peso della conoscenza nella letteratura classica: Edipo
È proprio così che veniamo a conoscere della ora gloriosa ed ora miserevole sorte del grande re tebano Edipo nella tragedia di Sofocle. Egli uccise il padre e giacque con la madre creando figli che gli furono anche fratelli, mettendo in evidenza una doppia natura, poiché con la madre è il fecondatore e con il padre distruttore, un simbolismo che la spiritualità greca sottolinea nell’amaro racconto esser superiore ad ogni male o sfortuna concepibili per un essere umano.
Ed è sempre Edipo che dopo aver avuto conferma dal superstite del massacro di suo padre che fu lui a compiere il delitto si domanda solennemente il perché avesse dovuto conoscere il misfatto o, peggio, il perché esser nato per subire la grande disgrazia che fu la sua vita, simbolo stesso dell’uomo dei patimenti.
La conoscenza pericolosa: il caso di Frankenstein
Non tanto migliore è poi la condizione del dottor Frankenstein che nella novella gotica “Frankenstein” pubblicata da Mary Shelley e sottotitolata “il nuovo Prometeo” porta in vita un mostro composto da svariate parti di cadaveri morti, cercando di superare i confini tra la vita e la morte; tuttavia egli perde i suoi amici e la sua futura sposa a causa della paura e della rabbia della sua creazione. Infuriato Il dottor Frankenstein poi sarebbe morto nel vano tentativo di uccidere il mostro creato da lui nei ghiacciai con solamente un marinaio per mezzo di lettere a raccontare del prodigio scientifico.
La storia cerca di mettere in guardia dall’evoluzione scientifica volta al dominio della natura da parte dell’uomo da parte della scrittrice, vissuta dopo l’illuminismo e in piena età romantica, e che riporta inoltre un fondamentale problema della conoscenza parlando dei pericoli del fuoco e delle arti di Pallade, che Prometeo secondo il mito portò agli umani contro volere di Zeus, con evidenza negativa nel fatto che gli umani avrebbero poi usato quelle forze non soltanto per sopravvivere ma anche per conquistare, ferire ed uccidere, processi molto comuni nelle società dei sapiens.
Il dilemma della conoscenza
Il male perciò sembra derivare solamente dalla conoscenza e chiunque cerchi di conoscere eccessivamente finisce male e soffre, poiché conoscere significa soffrire, si soffre sempre ad un certo livello quando si vuole apprendere qualcosa, dal leggere un libro complesso al sapere la storia della morte dei propri genitori. E quindi, che cosa dovrebbe motivarci a sapere più di quanto ci basta per guadagnarci da vivere?
Sembra che il dilemma sia fatto proprio per farci del male anche solo a pensarci… il sapiens che si dispera del perché egli debba soffrire nel conoscere, quasi teatrale. Ma se invece il male che riceviamo nell’arrivare ad una meta conoscitiva non fosse soltanto una conseguenza di un’azione ma anche qualcos’altro?
La prospettiva filosofica: Socrate e Platone
Socrate fu un grande filosofo ateniese che nella sua vita tenne fede solamente all’insegnamento delfico “conosci te stesso” riferitogli dalla Pizia, e adattò poi il suo metodo su quella base formando il famoso metodo maieutico per conoscere. Il metodo consisteva, come lo espose Socrate, nel dare alla luce figli/idee ed argomenti dalla mente degli uomini, e dare quindi anche una cura per il loro corpo ed intelletto dell’uno. Nemmeno la condanna a morte del tribunale ateniese l’avrebbe levato da questo incarico spirituale datogli da Apollo, poiché egli nel Fedone avrebbe ragionato sulla dottrina della vita come preparazione e cura per ascendere spiritualmente dalla reincarnazione, andando a comparare la realtà sensibile come un mare rispetto al cielo che è la verità cosmica.
Ciò evidentemente ispirò tanto il suo allievo Platone, che nel settimo libro della Repubblica introdusse l’analogia della caverna, famosa per il suo insegnamento del viaggio di uno dei tre schiavi ignari della luce volto a vedere il mondo delle cose che sono, lodando il sole e smettendo di guardare le ombre nella caverna. Tuttavia, nel tentativo di portare fuori gli altri due, lo schiavo illuminato sarebbe stato picchiato perché incapace di stare ancora al loro gioco.
E non è casuale che lo stesso termine “conoscenza” etimologicamente derivi sempre dalla capacità cognitiva e dall’essere coscienti, poiché anche Platone come lo schiavo dopo aver fatto il suo percorso iniziatico da drammaturgo a seguace di Socrate fino a filosofo politico, arrivò ad una nuova cognizione della realtà, trattando quindi il percorso conoscitivo come una vera e propria iniziazione ed evoluzione verso quello che è la luce pitagorica, fuoco eracliteo, e la Dea Parmenidea, in un’opera che parla sia della costituzione dello stato ideale che di quella dell’individuo ideale.
La visione di Leopardi: oltre il pessimismo
Anche Leopardi disse qualcosa di positivo a riguardo della conoscenza. Perché si, colui che condusse una vita attanagliata dalle sofferenze fisiche ed emotive e riconosciuto ingiustamente come solo filosofo e poeta pessimista, parlò di come l’uomo, per distaccarsi da una condizione meramente materiale dove il piacere è limitato e dura relativamente, debba in realtà usare l’immaginazione e bagnarsi del miele della conoscenza, poiché essi sono il bene intellettuale ed ideale che sono per sempre essendo l’immaginazione e la conoscenza della realtà infinite, avendo quindi come affinità con i filosofi ateniesi il procreare come virtù la sapienza.
Dal dolore alla sapienza: una strada necessaria
In conclusione si può dire che conoscere faccia male, ma è proprio quel male lì che dà valore a ciò che conosciamo e ci rende meritevoli di appropriarci di quella conoscenza, risvegliando il nostro intelletto interiore. D’altronde come diceva Plotino “l’occhio non potrebbe vedere i raggi solari se esso non fosse solare”, e di conseguenza l’uomo non potrebbe conoscere se non avesse in sé il disprezzato seme della sapienza.
Alfredo Bonelli, V les